Cremona e l’Islam in cucina

Frittelle... Focacce...

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Ruggero D'Altavilla nato in Normandia a Hauteville-la-Guichard, nel  1031 arriva in Sicilia chiamato dell'emiro di Catania nel febbraio del 1061. I Normanni dunque avanzano quasi indisturbati sino aalle porte di Enna e Agrigento unificando gran  parte dell'isola che maggiormente era rimasta legata alla cristianità.La tradizione vuole che sia proprio Riggero ad importare nella valle del Dittaino e tra i monti Erei la produzione del formaggio giallo allo zafferano detto Piacentinu. per alcuni la derivazione del nome si fa risalire a "pecorino che ... piace" per altri a piacentino ovvero circondario di Piacenza ( ancora una volta i piacentini sono riusciti ad appropriarsi di beni e progetti cremonesi come il ...formaggio grana, l'autostrada, il Conservatorio, l'Università, il pane di pasta dura, la centrale nucleare ... direbbe un cremonese scherzando!)

Nel “ Liber de ferculis “ di Giambonino da Cremona,  la gastronomia araba entra in Occidente. Giambonino traduce  libri di cucina e dietetica provenienti dal Vicino Oriente. Tra questi il più importante, redatto da Ibn Jazla tra il XI e XII secolo,  fu tradotto in latino da Giambonino da Cremona, col titolo Liber deferailis et condimenti. Dai doIci alla pasta le tradizioni culinarie orientali ,con ricette a complessa manipolazione, arrivano in occidente soprattutto attraverso Federico II di Svevia (1194 - 1250), re di Germania  e imperatore del Sacro romano impero.

Federico uomo d’armi è affascinato dalla cultura araba e di questa si nutre in tutte le sue discipline dalla cucina alla filosofia . è infatti sua l’idea dei cosiddetti “ Quesiti siciliani”, in cui racchiude fondamentali quistioni filosofiche “mandate a’ detti di Levante e di Ponente dal re de’ Romani, imperatore e principe della Sicilia, e le risposte che fecevi in Ceuta, per volere di Rascid califo almohade, il dottissimo sceikh ’Abd-el-Hakk-ibn-Sab’in”.

Federico ama Cremona e la elegge a residenza imperiale pro tempore dal 1220 al 1250 ed è in questo periodo che avviene il suo ingresso trionfale in Cremona con il carroccio strappato ai Milanesi nella battaglia di Cortenova (1237) e tirato da un elefante utilizzato anche nell’assedio di Pontevico .  Federigo ama imitare i sultani Gaznevida dell’India e per questo fa condurre da Saraceni un elefante, che porta sul dorso una piccola torre con le bandiere imperiali.

 

Fra il 1000 e il 1500 numerosi sono i libri di cucina (Kitāb al-thabīkh) legati alla tradizione araba in cui è possibile conoscere le usanze della cucina medioevale a Bagdad e Damasco: Ibn Ǧazla scrive le Tavole della salute, Ibn Buṭlān compone il Cammino dell'esposizione  e a Baghdad Ibn al-Adien (1262) scrive Wusla Ila ‘l-habib fi warf altayjbal wa-tib ( l’unione dell’amante attraverso la descrizione di leccornie e delizie). Nel 1227  il medico e chimico Adamo da Cremona scrive per l’Imperatore il saggio Tractatus de regimine iter agentium vel peregrinantium, in cui tra i primi prescrive modelli dietetici a carattere medico scientifico. A Federico II si ascrive il miglior apporto alla stesura del Liber de coquina. L’imperatore filoislamico, condannato da Dante tra gli epicurei, si circonda di animali esotici e schiavi arabi e ricrea nella sua corte i gruppi colti e principeschi dei grandi califfi abbasidi di Baghdad, in cui poesia, letteratura e il cibo sono spunto di discussione e conoscenza.

Dante mette anche all’inferno tra gli indovini Michele Scoto, mago di corte, medico e consigliere di Federico II  di  Svevia che lo definirà "preziosissimo  fra  i  miei  Maestri". Le virtù magiche dello Scoto pare fossero eccezionali: per il diletto dell’Imperatore mostrava sempre nuove e illusorie reazioni alchemiche e si divertiva ad  imbandire banchetti dal nulla, provocando lo meraviglia e incredulità . Il laboratorio allestito per lui si arricchiva di sostanze tra le più disparate di natura inorganica ed organica. Non mancavano oppio, distillati, estratti di erbe medicamentose come rileva Lynn Thorndike, ma anche ricettari di cucina tra i quali alcune note del francescano Giovanni da Pian del Carpine “legato ad Tartaros”.

In una traduzione tarda del manoscritto di Giovanni completato da note a margine  si legge ”  i tavoli a cui pranzano i nostri cortigiani sono in parte dorati, ricchi  di ametista e sorretti da colonne eburnee. Alla nostra tavola si nutrono ogni giorno mila uomini con le migliori armature. Il pasto è tra i più abbondanti e regina tra le vivande viene servita una chissòla onta, semplice o de ova, che fa millefoglie di pasta croccante tra falde de’ verdura “.

Dal  1233 si apre una nuova fase nella collaborazione tra l’imperatore ed i cremonesi che sollecitano un suo intervento nel derimere le lotte interne alla città. Federico invia come podestà il conte Tommaso d'Aquino, un grande signore napoletano e tra i più fedeli dell’imperatore. Dal 1236 al 1250, Cremona acquista sempre maggior importanza nel Nord Italia anche perché Federico la elegge a sua residenza preferita e base all'esercito imperiale. Durante lei sue  soste egli alloggia nel palazzo imperiale nelle vicinanze del monastero di San Lorenzo che con il forte di San Michele difendeva a nord est il luogo più rilevato della città.

La presenza dell’imperatore si accompagna sempre a celebrazioni e solennità: è a Cremona che Federico concede in sposa  la figlia Selvaggia ad Ezzelino da Romano e avvengono le successive nozze del figlio Enzo. Avviene anche un grave episodio: il suo fidato  Pier della Vigna con la complicità del medico di corte tenta di avvelenare l’Imperatore, il complotto non riesce e i cremonesi mostrano rinnovata fedeltà a Federico tentando di linciare l’infedele cortigiano . (è forse in questa occasione che Adamo da Cremona riordina “il ricettario del Maestro Bene medico dellomperadore Federigo” e Gerardo da Sabbioneta (vissuto circa nel XIII secolo). ompleta la traduzione di importanti scritti di Avicenna). La preparazione del cibo si rende necessaria per la salute del corpo sia in medicina sia per una più serena vita di corte.

Un prezioso libercolo del Cremonese Realdo Colombo (sec.XVI) , figlio di farmacista e medico, racchiude formule e tradizioni islamiche entrate nel comune uso in Italia. Le sue dotte ricette fanno riferimento al Canone di Avicenna e al medico siriano Ibn-AI-Nafis (sec.XIII) e saranno alla base della scoperta di importanti scoperte nel campo della medicina come la circolazione corporea del sangue.

 

 

La Guida della Sicilia, Ed. Trapani 1956 riporta un passo del geografo arabo Al-Idrisi (Edrisi) nel XII secolo che esalta la bellezza della Sicilia, di Palermo  ed in particolare dei suoi cibi :

 

Diciam dunque che l’isola di Sicilia è la perla del secolo, per abbondanza e bellezza; il primo paese per bontà di abitazioni ed antichità. Vengonvi i viaggiatori da tutte le parti: e i trafficanti delle città e delle metropoli, i quali tutti ad una voce esaltano la sua grande importanza, lodano la sua splendida bellezza, parlano delle sue felici condizioni, degli svariati pregi che si accolgono in lei e dei beni d’ogni altro paese che la Sicilia attira a sé... i cibi sono paradisiaci a cominciare dal cous cous et caules conservato in pregiate tajine e  delicati mesemmen che ci vengono dal Marocco  e simili ai sabadas di sardinia. Questi ultimi sono fatti di farina, acqua e sale e pochissimo lievito. La piada si frigge in padella e si usa sia per accompagnare il pasto salato e allora la frittella contiene formaggio e si chiama “ da imperadore”, sia per il dolce con miele e marmellata da prendere assieme  al  tè

La tradizione dei mesemmen dolci  e della tecnica di cucina tajine nella ricetta di cavoli dell’imperatore, ("caules secundum usum imperatoris") rimane nella tradizione islamica e si è riproposta in una bella serata finale del un corso di  matematica all’Istituto Comprensivo di Castelleone nel 2004. (Amm…Mamm..sono inviti vocali  che le mamme fanno per convincere i fanciulli a mangiare. Secondo il Peri esse derivano dal greco mammàn che significa pane e che è congruo con mesemmen arabo)                   

 

   

 

 

 

Le frittelle a Cremona sono da tempo memorabile  le fritoule dolci che Secondo il Peri , si friggono nello strutto (sònza) o nell’olio e sono a base di  farina impastata anticamente anche con mela (fritoule de’ poumm)  o riso  o vermicelli ed hanno la forma sferoidale della polpetta. (Con la stessa ricetta e il riso  invece si prepara la torta  denominata bertoulìna). La lontana Injera di origini africane diventa Crescentina a Napoli e S’ciounféera o s’scounféen a Cremona: “frittella che cuocesi in olio, burro, istrutto (sònza) che nel cuocere cresce in altezza e si gonfia”

 

Le frittelle tipiche del piacentino appena dopo il ponte sono chiamate “Torta fritta”, sono salate e hanno diversa forma che deriva dalla sfoglia di base che si gonfia durante la frittura. Al di qua del Po la torta fritta piacentina addolcita con zucchero ed arricchita con uova diventa la "Latùuga" che in altri zone della pianura assume le più svariate denominazioni (chiacchiera...)

 

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CHISÒOLA

Focaccia cremonese di farina, strutto e lievito

“De Placentis quae ex Farina triticea fiunt, Greci.(la focaccia che i greci fanno con farina di grano) ” La ricetta che deriva da Galeno in “De alimentorum facultatibus” appare riproposta sulla tavola di Federico Barbarossa nel 1160 Barbarossa in occasione dei festeggiamenti per la presa di Crema.  La vittoria delle truppe imperiali  aiutate dai temibili fanti “falcati” cremonesi avvenne secondo gli storici del tempo in pochi giorni. Secondo lo svevo si trattò di una semplice e piccola chisòola (schiaffetto dal vernacolo cremonese ma anche sculacciare dal tedesco versohlen) data agli irriverenti nemici cremaschi.

Nel seicento, il 7 Gennaio a Cremona si celebrava il Carnevale e  S. Cristoforo. Nei monasteri e nelle case signorili si festeggiava la  benedizione delle focacce mentre  giovani mascherati  accompagnati da suonatori manifestavano la loro allegria per le strade. La festa si ripeteva per Sant’Antonio abate il 17 gennaio in cui protagonista era ancora la focaccia fatta cuocere sotto la cenere del camino e chiamata chisòola onta per l’abbondante uso di  strutto nell’impasto.

Secondo il Peri il chizòol è una specie di pane non lievitato o di pasta di frumento e frumentone con aggiunte di olio o burro. La chisòola è una focaccia chiamata anche  schiacciata  la cui cottura è fatta sia in forno sia in padella. Per Quazzina o Azzimella  si intende una pasta sottile senza lievito cotta sulle braci o sotto la cenere calda del camino su un ripiano detto toujàda. La focaccia cremonese è fatta con farina bianca ma si trovano ricette con aggiunta di farina gialla, il burro attualmente sostituisce lo strutto ma alcuni ancora oggi confezionano l’impasto con quest’ultimo magari con aggiunta di ciccioli fritti. Si discute sulla quantità di lievito , è certo che una temperatura di 180° per 30/35 minuti dà garanzie di ottenere un buon prodotto.

Una serie di lettere del  castellano di Cremona don Rafael Manrique de Lara datate 1588 e inviate ad Arras (Belgio) ad Alessandro Farnese duca di Parma e Piacenza,  contiene appunti e ricette di cucina padana dalle salame, mortadelle, oche anadre, persutti, formagielle zibetto, laz, mascherp, butiro, formaggio, cervelato e altre simili cose. Le lettere si interrompono a fine agosto dello stesso anno dopo la disfatta della Invincibile Armata spagnola.

Ci rimane la ricetta di una deliziosa chisòola dulsa   o focaccia cremonese dolce

"pones una parte de harina florete amarillo, 4 de blanca (harina), 2 de tocino, 1 de azúcar, cáscara de limón, levadura y leche una gota. Pones en horno a calor y extraes cuando es cocida y pintada. la hacen buena las monjas de San Cristobal" (“metti una parte di farina fioretto gialla, 4 di bianca (farina), 2 di strutto, 1 di zucchero, buccia di limone, lievito e latte un pochino. Metti in forno a calore e estrai quando è cotta e colorata. La fanno buona le suore di san Cristoforo)